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Dietro la siepe

Aggiornamento: 30 set 2021

Lo zainetto sbatteva scomposto sulla schiena al ritmo incerto della corsa e gli toglieva il fiato. La gola bruciava e le gambe facevano male. Si passò la mano sulle labbra, era sporca di sangue, ne sentiva il sapore in bocca.

"Non devo fermarmi". Lacrime di rabbia gli salirono agli occhi, rabbia contro sé stesso.

Doveva togliersi dal marciapiede. Paolo avrebbe finito per raggiungerlo, era più grande, più veloce e il suo zaino pieno solo di ignoranza. Alessio svoltò l'angolo.

Nel vicolo, su un lato, una lunga cancellata delimitava il piazzale di un capannone.

"Devo nascondermi".

Sul lato opposto un muro di mattoni rossi costeggiava tutta la strada. La macchia verde di una siepe incolta ne spezzava la ripetitività. Corse più veloce che poteva, ansioso di buttarsi lì dentro prima che Paolo comparisse alle sue spalle.

Rallentò, senza fermarsi, si allungò sul muro e si infilò fra i mattoni e i rami, che gli graffiarono il viso. Qualcosa lo trattenne.

"No!"

Aveva il cuore in gola. Tirò con tutte le sue forze. Com'era riuscito Paolo a raggiungerlo? Il ramo, sul quale si era impigliato lo zaino, cedette e lui cadde in una zona un po' più ampia.

Restò in ascolto. Non riusciva a vedere la strada, se fosse rimasto lì dietro anche Paolo non lo avrebbe visto. Rimase immobile.

"Forse ha rinunciato." No. Il rumore delle scarpe che battevano sulla strada, si avvicinava.

Lo sentì passare oltre e tirò un silenzioso sospiro di sollievo.

Il battito del cuore a poco a poco smise di martellargli nelle orecchie e il suo respiro tornò regolare. Si guardò attorno. Sotto la siepe un bicchiere di carta, un pacchetto di sigarette e diverse cartacce erano intrappolati nell'intrico dei rami.

Si alzò e nel farlo poggiò una mano sul muro. La ritrasse sentendo sotto le dita qualcosa di diverso dai mattoni. Sulla parete c'era una porta di legno dipinta di rosso.

"Come ho fatto a non vederla?" Passò lo sguardo sul muro. "Che senso ha dietro una siepe?".

Era una porta strana, un adulto avrebbe dovuto chinarsi per passare. Sembrava antica, un grande battente al centro. Alessio si avvicinò per guardarlo bene. La testa di un drago orientale teneva fra i denti un anello decorato da un'incisione che non sapeva leggere. Era d'ottone lucido come fosse nuovo. Anche la maniglia era dello stesso materiale e aveva la forma di una zampa dai lunghi artigli stretta a pugno.

Deglutì, prese un respiro e provò ad aprirla. Era chiusa.

"Peccato."

Deluso, estrasse un quaderno dallo zaino, strappò un foglio e copiò l'incisione del battente.

"Chissà cosa nasconde." Passò una mano sul legno laccato. "Probabilmente solo un vecchio magazzino."

Raccolse le sue cose e si diresse verso casa. Continuò a seguire il muro finché un grande cancello in ferro battuto interruppe il susseguirsi regolare dei mattoni. Oltre le inferriate poteva vedere un giardino, cespugli, rovi, alberi e altre piante abbarbicate le une sulle altre impedivano di vedere oltre il loro intrico.

Arrivò sotto casa fissando le strane parole sul pezzo di carta stretto fra le dita, affascinato dalle fantasie sul loro significato e su cosa nascondesse il giardino.

Sua madre non era ancora rientrata da lavoro. Si sfilò le scarpe e le spinse contro la parete. Lasciò lo zaino in salotto e si diresse in cucina.

Guardava il foglio con quella strana iscrizione poggiato sul tavolo mentre mangiava, direttamente dal contenitore, la pasta che sua madre gli aveva lasciato nel frigo.

"Se riuscissi ad aprire quella porta, Paolo non riuscirebbe a prendermi. Anzi avrei un giardino tutto per me."

Si spostò in salotto e accese il portatile della madre. Aprì il motore di ricerca e digitò la frase misteriosa.

Chấm dứt những dằn vặt

Fine dei tormenti

«Fine dei tormenti.» Ripeté a voce alta.

Forse poteva davvero diventare la sua via di fuga. Si succhiò il labbro ancora gonfio.

"Devo aprirla!"

Andò nello sgabuzzino e cercò, nella cassetta degli attrezzi, qualcosa che lo aiutasse a smontare la maniglia. Prese un cacciavite e una pinza e li nascose nello zaino.


Correva a perdifiato verso il vicolo. Appena era suonata la campanella era corso fuori. Di tanto intanto si voltava per essere sicuro di non avere nessuno alle spalle. Era tutto sudato, ma non gli interessava. Si infilò fra i rami. La porta era lì ad aspettarlo.

Poggiò lo zaino ed estrasse i suoi attrezzi. Sulla maniglia non trovò le viti per poterla smontare. Con il cacciavite fece leva tra la porta e il muro, ma non si mosse. Prese la pinza ma non aveva idea di che altro fare. Gettò uno sguardo al battente, lo afferrò e diede tre colpi netti.

«Ah, sei qui!»

Si voltò terrorizzato. Paolo si era infilato nella siepe.

«Adesso te ne darò tante che tua madre non ti riconoscerà.»

Alessio si lanciò dalla parte opposta, ma tra il muro e la siepe non c'era spazio sufficiente per passare e un pugno lo colpì allo stomaco.

Barcollò, gli veniva da vomitare. Poggiò una mano sulla maniglia e la porta si aprì verso l'interno. Veloce entrò e la richiuse. L'oscurità lo avvolse. Dagli stipiti della porta filtrava della luce e a poco a poco cominciò a distinguere i contorni della stanza nella penombra. Si trovava in un piccolo locale senza finestre.

«Vieni fuori vigliacco! Tanto domani prendi il resto.»

Stava prendendo a calci la porta, ma questa non dava nessun cenno di cedimento.

Il frusciare della siepe e i passi che si allontanavano gli fecero capire che Paolo si era stancato. Decise di non uscire subito, nel caso lo stesse aspettando. Attese e ispezionò la stanza, era completamente vuota, le pareti spoglie, il pavimento di terra battuta. Non aveva niente di interessante, però poteva farne il suo nascondiglio. Alla fine decise di aver aspettato abbastanza, andò verso la porta e la aprì senza difficoltà.

"Ma che cavolo…"

La strada era scomparsa, al suo posto uno scenario lunare, un paesaggio desertico dai riflessi inconsueti, il cielo di un tenue color lilla e la terra di color rosso fuoco. Nessun sole, ma un'enorme pallida luna che emetteva solo una tenue luminescenza.

Allungò una mano verso l'esterno e il contorno della soglia si illuminò di un lieve chiarore, come se una barriera separasse i due mondi. Ritrasse la mano. Strinse gli occhi per poter vedere meglio, tra le dune di sabbia rossa un movimento attirò la sua attenzione. Una figura scura, lontana, della grandezza di un cane, si muoveva verso di lui a piccoli balzi nella luce crepuscolare. Rimase immobile, quasi ipnotizzato.

Nel cielo, una lunga ombra affusolata, volteggiava compiendo un movimento a zig zag verso la figura più piccola. L'animale simile a un grande scoiattolo che arrancava nella sabbia emise un verso di terrore e cominciò a correre nella sua direzione. Era a pochi passi dalla porta quando dall'alto un grande serpente si avventò su di lui facendolo a brandelli.

Osservava atterrito l'enorme creatura cibarsi dei resti dell'animale. I denti affilati staccavano pezzi di carne, il sangue gli colava sul collo ricoperto di squame nere dalle quali spuntavano lunghi aculei bianchi.

Alessio fece un passo indietro urtando la porta, la bestia puntò gli occhi verdi da rettile nella sua direzione. Con uno scatto si gettò verso di lui. Il ragazzo restò immobile, gli occhi sbarrati in attesa dell'impatto. Il serpente raggiunse la porta, la luce azzurra che la incorniciava si fece più intensa trattenendolo al di là della soglia.

Restando più possibile lontano, allungò un piede e spinse la porta richiudendola.

Si ritrovò di nuovo nella semi oscurità dello stanzino.

"Oddio, sono bloccato qui." Non c'erano altre uscite.

Gli veniva da piangere. Tastò tutte le pareti, non aveva scampo.

Appoggiò l'orecchio alla porta e poté udire all'esterno i suoni familiari della città. Il suono di un clacson lo riscosse. Si fece coraggio e aprì. La fitta siepe che copriva la vista della strada era di nuovo lì fuori.

Uscì e chiuse la porta. Rimase fermo a fissarla per un attimo poi prese un gran respiro e allungò una mano sulla maniglia. Non riuscì ad abbassarla, era di nuovo bloccata. Il cuore gli batteva ancora forte, nella mente l'immagine del mostro, che si gettava verso di lui, gli mozzava il respiro. Si mise a correre verso casa.


La mattina dopo era uscito deciso a non tornare alla porta, ma all'uscita da scuola Paolo e un altro ragazzo lo avevano bloccato e riempito di botte.

«Visto, non sei stato molto furbo ieri.» Tra un pugno e l'altro lo deridevano.

«Basta smette—»

«Decido io quando basta! Voglio vedere cosa c'è in quel tuo nascondiglio del cazzo.» Paolo lo colpì con un altro pugno.

«Non è mio…»

«Infatti adesso è mio.» Gli sorrise maligno.

Fece un cenno all'altro ragazzo, lo presero e lo trascinarono nel vicolo. Lo spinsero dentro la siepe davanti alla porta. Paolo provò a tirare la maniglia, la spinse e infine la prese a calci, ma non cedette. Rabbioso prese Alessio per la maglia e lo sbatté contro il legno dipinto di rosso.

«Aprila, stronzo!»

«Non voglio, non c'è nien—»

Un pugno lo colpì sulla schiena lasciandolo senza fiato.

«Ti ha detto di aprire!» Gli urlò l'altro ragazzo.

Alessio allungò la mano e la maniglia scattò, spinse la porta perché si aprisse e Paolo e il suo amico vedessero che era solo una stanza vuota. I due lo spinsero dentro e la richiusero.

«Che posto di merda.» Paolo sputò per terra.

«Ti avevo detto che non c'era niente.»

Paolo prese il cellulare e con la torcia diede un'occhiata in giro.

«Molto deludente, credo che ti meriti un altro po' di botte per averci fatto perdere tempo.» Fece un cenno all'amico.

«No, basta vi prego.» Supplicò

Non aveva scampo. Aspettò che si avvicinassero poi spinse Paolo con tutte le sue forze. Preso di sorpresa il ragazzo cadde a terra.

«Adesso ti ammazzo!» Urlò.

Alessio terrorizzato corse alla porta spalancandola. Il deserto rosso e il cielo viola erano di nuovo lì.

"No!" Aveva troppa paura del mostro per fare un altro passo.

Paolo e il suo amico si erano avvicinati e si guardarono sorpresi.

«Che cazzo di posto è questo?»

Lo scansarono e incuriositi si avventurarono oltre la soglia. Superarono la barriera che emise un lampo di luce azzurra illuminando la porta.

Alessio la chiuse.

«Aprì bastardo!» Li sentì urlare, poi ci fu silenzio.

Prese un respiro e la riaprì, il mondo sconosciuto era scomparso e davanti ai suoi occhi c'erano la siepe e il vicolo.

Richiuse la porta e si diresse verso casa. Un'espressione lievemente trionfante dava ai suoi occhi una luce diversa.

Li aveva lasciati in quel mondo orribile, tuttavia non si sentiva in colpa, per niente.

Immaginò il terrore che stavano provando. Paura di essere aggrediti, paura del dolore, le sue paure di ogni giorno.

Dopo qualche passo si fermò. Scosse la testa. Ritornò nella siepe.

La porta era scomparsa. Posò a terra lo zaino e ispezionò la parete. C'era solo il muro di mattoni, nessun segno, nessuna differenza sulla superficie. Si rimise lo zaino in spalla e si avviò.

"Fine dei tormenti."


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