top of page
  • Immagine del redattoreLaura Ctt

La miniera

Aggiornamento: 30 set 2021

L'aria calda e umida della miniera dava alla galleria un'atmosfera stagnante. Il tempo sembrava rallentato, lo scorrere uguale dei giorni lasciava la sensazione che non scorressero affatto.

L'orco spinse il carrello carico di minerale accanto ai compagni, che cominciarono a selezionarlo, pietra per pietra. Fece qualche passo e si sedette su un masso. La mano nera che passò sul volto non sembrò sporcarlo più di quanto già non fosse.

«Dul! Tieni.»

Un giovane arboreo gli si avvicinò e, con la mano coperta di corteccia, gli porse un involto che conteneva della carne ammuffita e del pane raffermo. L'orco gli porse la tazza che teneva legata in vita con uno spago e lui la riempì di quella che in origine doveva essere acqua.

«Grazie, Legnetto.»

«Di cosa? Quel verme ci tratta come animali.» La sua voce aveva un suono simile al rumore di foglie secche calpestate sulla strada.

Dul restituì l'involto.

«Hai già finito?» Sgranò i piccoli occhi verdi.

Rovistò nella sacca e gli porse una nuova razione.

«Legnetto, che fai? Vuoi metterci nei guai?» Dul si guardò attorno preoccupato.

«È La mia. Sei grande e grosso e fatichi tutto il giorno. Ormai non ti reggi in piedi.» Scricchiolò deciso.

«E tu? Come farai?»

La corteccia scura del suo volto si tese in un sorriso. Poggiò una mano sulla parete, piccole radici si allungarono penetrando nella roccia.

«Il vantaggio di essere una pianta. Posso trarre il mio nutrimento dalla terra e dai minerali.» Sfrusciò alla fine. «Ma non dirlo a nessuno, se Blatta lo scopre non mi darà più da mangiare e non potrò darlo a chi ne ha bisogno.»

Staccò la mano dalla parete e dalle piccole radici recise stillarono gocce di linfa verde scuro.

«È doloroso?»

«Sì, ma se non lo faccio le radici penetrerebbero nella roccia bloccandomi qui per sempre.»

«Ehi, voi due! A lavoro! Non vi ho comprati per poltrire tutto il giorno.»

«Sì, signor Manussen.»

Un uomo gonfio e dall'incarnato bianchiccio li fissava con astio, il viso paonazzo per la rabbia.

Dul si alzò dalla pietra e Leccio riprese a distribuire il cibo.

«Maledetti parassiti! Dovevo lasciarvi morire invece di comprarvi. Alla prossima asta dovranno farmi uno sconto bello grosso. Un orco zoppo e un pezzo di legno inutile…» Sparì nel suo ufficio.

«Lascia perdere Leccio o finirai nei guai.» Un compagno si era seduto sulla pietra lasciata libera da Dul e lo fissava dal basso.

La pelle era di un tenue azzurro coperto di polvere nera, le grandi orecchie a punta guizzavano di volta in volta verso i rumori intorno a lui.

«Mi stava dando il cibo.»

«Odio gli arborei, sono ambigui. È bravo lui a fare discorsi, non solleva una sola pietra. Vorrei vederlo a scavare tutto il giorno, se gli resterebbe fiato da sprecare.»

«Lascialo in pace Rascal, è solo un ragazzo.»

«Già, solo un ragazzo. Non ti sei mai chiesto perché un tipetto tanto dolce fosse nelle prigioni di Gora?»

«Meglio che vada. Se Blatta mi trova a perdere tempo mi prenderà a frustate.»

«Sei l'orco più triste che conosca.» Rise e si allontanò.

Un boato scosse la galleria, una nuvola di polvere la riempì. Gli occhi lacrimavano e colpi di tosse giungevano da ogni direzione.

«La galleria è crollata! Siamo intrappolati!»

La porta dell'ufficio si aprì. Il signor Manussen si affacciò. Estrasse il fazzoletto da taschino e lo poggio a coprire naso e bocca.

«Siamo bloccati qui, signore.»

«Come sempre. Avevi forse qualche impegno all'esterno?» Lo derise.

La voce bassa di Dul si intromise.

«Dobbiamo liberare la galleria.»

«No! Continuate a lavorare! Tirate fuori quel dannato minerale! Non avete altro posto dove andare.»

«Signore. Anche lei è bloccato qui come noi.»

«Come voi?»

Gli rise in faccia e aprì la porta dell'ufficio. Un ambiente completamente diverso dalla miniera si mostrò a Dul. Uno splendido salotto decorato che doveva essere l'accesso a un appartamento molto più grande.

«Ho detto al lavoro!» Rientrò e si chiuse la porta alle spalle.

Ognuno si avviò al proprio posto con la tosse che ancora li scuoteva.

«Ehi, cosa fate?» Tuonò Dul.

«Andiamo a lavorare.»

«C'è stato un crollo. La miniera è instabile, dobbiamo uscire di qui!»

«Per andare dove? Blatta ha ragione. È questo il nostro posto e lui non è preoccupato.»

«Certo che non lo è. Lui è al sicuro nella sua reggia, dietro quella maledetta porta.»

«Calmati orco o ci farai ammazzare tutti. Per lui non fa differenza. Alla prossima asta comprerà altri disperati.» Rascal gli aveva messo una mano su un braccio.

La galleria vibrò. Si scambiarono sguardi atterriti. Le orecchie di Rascal guizzarono in ogni direzione.

«Che vi dicevo? Dobbiamo uscire di qui.»

Dul imboccò un corridoio.

«Dove stai andando?» Leccio mosse qualche passo per seguirlo.

«Al deposito, farò saltare quel blocco e ce ne andremo tutti. Resta qui Legnetto.»

«Vengo con te!»

«Ti ho detto di andartene! Non metterti nei guai. Ci penso io.»

Il ragazzo restò a fissarlo immobile.

«Ti ho detto di andare, Legnetto!»

Leccio tornò nella galleria principale e ricominciò il suo giro. Di tanto in tanto forti vibrazioni facevano fermare tutti. A più riprese si era voltato in direzione del corridoio dove aveva visto sparire Dul, ma dell'orco non c'era traccia.

Dul seguì il corridoio fino alla porta del deposito. Lì Blatta custodiva l'esplosivo e il rame nero pronto per essere venduto. L'uomo non permetteva a nessuno l'accesso. Era privo di ogni fiducia nel prossimo, convinto che, chiunque, fosse lì per depredarlo del prezioso minerale. Quanto a lui, non ne poteva più. Per quanto prezioso fosse il minerale, la cosa che voleva di più era aria fresca e acqua pulita.

L'orco saggiò la maniglia ma la porta era chiusa. Nessuna sorpresa. Una scossa più forte fece cadere, dalla volta del corridoio, schegge di roccia e polvere. La miniera stava collassando. Dul fece qualche passo indietro e diede una forte spallata. Un lieve scricchiolio gli diede speranza e si preparò colpire di nuovo. Questa volta il legno emise uno schiocco e la porta si aprì.

L'orco la guardò. Se avesse voluto non lasciare segni del suo passaggio, quella possibilità era ormai perduta. Entrò nella stanza, passò lo sguardo fra le casse che la riempivano. Il magazzino era molto più grande di quanto credeva. La quantità di minerale valeva tanti crediti da permettere a Blatta di vivere da re, ma lui non si sarebbe mai accontentato.

Si avvicinò ad una cassa un po' più piccola. La aprì e trovò quello che cercava. L'esplosivo avrebbe permesso loro di andarsene.

«Cosa stai facendo?» Blatta lo fissava scuro in volto sulla porta.

«Dobbiamo andarcene da qui! Sta crollando tutto!»

Come a ribadire le sue parole, una scossa lo costrinse a reggersi ad una cassa, mentre Blatta si aggrappava con entrambe le mani allo stipite della porta.

«Tu sei qui per rubare e poi scappare. Questo si ottiene a lavorare coi criminali.»

«Signor Manussen, non voglio rubare. Voglio solo uscire di qui!»

«Non lasceremo la miniera! È la vena più ricca che esista.»

«Moriremo!»

«No, morirete! Se lasciamo la miniera, domani qualcun altro prenderà il mio posto. Non lo permetterò!»

Dul sentì la rabbia montare, quell'uomo accecato dalla brama di denaro non voleva sentire ragioni.


Leccio finalmente vide un'ombra avvicinarsi dall'oscurità del corridoio. Un moto di speranza lo percorse. Si mosse verso di lei. Vide il volto di Dul venirgli incontro.

«Amic—.»

Blatta camminava tenendo alta davanti a sé la testa dell'orco. Sul volto di Dul, l'espressione di sorpresa e orrore immortalata dalla morte. Gocce di sangue cadevano a terra dai lembi di pelle che pendevano dal collo reciso.

«Questo succede a chi prova a derubarmi.» Poggiò la testa sulla roccia davanti a Leccio. Poi sparì dietro la porta del suo ufficio.

Leccio si avvicinò alla testa dell'amico.

«Dannazione. Era davvero l'orco più triste che io abbia mai conosciuto. Farsi ammazzare da Blatta.» Rascal si allontanò e tornò a lavoro.

L'arboreo prese dalla sacca uno dei pezzi di vecchia stoffa che usava per dividere le razioni e coprì la testa. Restò immobile. Piccole radici spuntarono dai suoi piedi infilandosi nella terra battuta. A poco a poco divennero grosse come dita. Il giovane ragazzo cominciò a crescere, dal torace emersero nuove braccia con piccoli rami a formare altre mani. Si allungò fino alla volta e dalle sue dita altre radici si incunearono nella roccia.

Dalla galleria un gruppo di minatori risalirono e bussarono alla porta di Blatta.

«Signor Manussen, la vena si sta ritirando.»

Si fermarono a guardare l'enorme albero che riempiva la galleria davanti all'ufficio di Blatta, senza riconoscere il giovane Leccio.

«Insomma che succede qui fuori?» Blatta aprì la porta.

«Signor Manussen stavamo estraendo il minerale, quando dalla roccia la vena ha cominciato a ritirarsi…» I minatori riferirono incerti.

«Impossibile, tornate a lavorare! Oggi avete perso anche troppo tempo…che diavolo è questo?» Si avvicinò al tronco del grande albero. Il volto di Leccio emerse dalla corteccia.

«Hai ucciso Dul. Vuoi farci morire in queste gallerie. Ma non succederà!» Una scossa fece vibrare la roccia. Grossi pezzi si staccarono dalla volta piombando a terra.

«Sei tu? Sei tu che stai distruggendo tutto!»

«Oh, non solo. Sto assorbendo dalla roccia il mio nutrimento, il tuo maledetto e prezioso minerale. Non ne lascerò nemmeno un'oncia.»

«Maledetto! Abbattetelo subito!»

I compagni esterrefatti fissavano l'albero che continuava a crescere. Un forte colpo venne dalla galleria d'entrata. I rami l'avevano percorsa lungo le pareti fino a raggiungere la frana e, sgretolando la roccia, avevano aperto una via.

«Siete liberi. Andate!» la voce di Leccio suonò come lo schiocco di un ramo spezzato.

«Non muovetevi, mi appartenete!» Urlò il signor Manussen.

Tutti corsero all'uscita lasciandoli soli.

«Maledetto!»

Blatta afferrò un piccone. A grandi passi sollevandolo in aria si apprestò a colpire Leccio.

Un'enorme radice sbucò dal suolo trapassandolo. Crescendo a dismisura, ne lacerò il corpo. Una nuova scossa fece rotolare a terra la testa di Dul. Radici più piccole l'abbracciarono con delicatezza fino a farla scomparire, dandole una rispettosa sepoltura. Leccio si guardò attorno un'ultima volta. La miniera collassò con un enorme boato e seppellì per sempre il dolore che in essa si era consumato.



©Tutti i diritti riservati.





5 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
Post: Blog2_Post
bottom of page