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Disillusione

Aggiornamento: 30 set 2021

Ho aperto tutte le finestre e mi godo la corrente d’aria fresca che corre per casa. I rumori della strada mi tengono compagnia. Stefano è andato a giocare a calcetto con i colleghi di lavoro e nostra figlia è uscita con le amiche per guardare i negozi in centro. Comincia a crescere. Questo mi rende orgogliosa anche se, finché non torna, un filo d’ansia mi accompagna. Quella sensazione di allerta che mi ha sempre preso anche quando era in casa da più piccola e improvvisamente un insolito silenzio mi faceva temere che fosse successo qualcosa.

Il telefono comincia a squillare. Getto uno sguardo allo schermo, è Anita. Mi asciugo le mani e lascio nel lavabo la verdura che sto preparando per pranzo.

«Pronto, ciao!»

«Ciao Carla, scusami se ti disturbo.»

«Figurati come ti posso aiutare?» Mi fa piacere sentirla.

«Dovresti passare qui in negozio.» Ha una piccola boutique deliziosa in centro.

«Va tutto bene?»

Per un attimo resta in silenzio.

«Anna è qui con me, è meglio se vieni.»

«Sta bene?» Il mio cuore di mamma batte all’impazzata.

«Si, ma vieni qui per favore e ne parliamo.»


Non perdo tempo a cambiarmi, prendo la borsa e le chiavi della macchina ed esco. Parcheggio l’auto davanti alla sua vetrina e scendo, non metto il disco orario, lo faccio sempre ma il tono di Anita mi ha preoccupata. Spingo la porta a vetri e mi guardo intorno.

Anita è al bancone e due clienti curiosano fra gli scaffali. Non vedo mia figlia.

«Carla!» Vado verso Anita cercando di interpretare il suo sguardo serio.

«Ciao, dov’è Anna?» La cerco ancora una volta nel negozio.

«È sul retro, vieni.»

Passo dietro al bancone e entro nel suo piccolo ufficio. La scrivania riempie quasi tutta la stanza. Mia figlia è seduta sulla sedia. Ha gli occhi gonfi di pianto.

«Anna stai bene?» Ho il suo viso fra le mani e la guardo negli occhi.

«Mamma…»

«Carla vieni con me per favore.» Anita l’ha interrotta e il suo tono mi mette in allarme ancora una volta.

Si abbassa e raccoglie da terra lo zaino di Anna, non dice nulla apre la cerniera e mi mostra il contenuto. Ci sono delle magliette, hanno l’etichetta e l’antitaccheggio ancora attaccato. Arrossisco. La vergogna per quello che mia figlia ha cercato di fare mi stordisce.

Mi volto a guardarla. L’impulso di prenderla a schiaffi è molto difficile da trattenere. Non voglio picchiarla per sfogare la mia rabbia, è qualcosa di più simile ai colpi che do alla stampante quando si rifiuta di fare il suo lavoro. Vorrei, a schiaffi, farle uscire dalla testa qualsiasi cosa possa averle fatto fare una tale cazzata.

«Carla?» Anita mi sta guardando preoccupata. «Non ho chiamato la polizia, ma mi sembrava giusto farle capire quanto sia grave quello che ha fatto. Volevo darle una piccola lezione.»

«Vuoi che ti paghi queste magliette?» Non so che altro dire, non so come rimediare.

«Figurati, no!» Prende le magliette e le posa sulla scrivania davanti ad Anna. «Carla, stai tranquilla ho una nipote della stessa età e non la riconosco più. È una fase difficile.»

«Mi dispiace tanto.» Anita mi abbraccia.


Saliamo in auto in silenzio. Dentro di me vorrei gridarle addosso tutta la mia rabbia e la mia delusione. Anna è rannicchiata sul sedile. Non ha l’immancabile telefono e si fissa le mani posate in grembo. Ho buttato lo zaino sul sedile posteriore. È lì spogliata delle sue cose, spero che stia riflettendo. La mia guida è scattosa, non so come altro sfogare la mia rabbia e continuo a accelerare e frenare. Di tanto in tanto la guardo. Mi sembra così piccola. Non so più chi sia. Dov’è finita la mia bambina? Gli occhi mi bruciano ma non voglio piangere. Mi sento una stupida. Come posso non essermi accorta di quello che stava accadendo.


Arrivate a casa apro la porta e la spingo all’interno. Butto lo zaino sul divano e esplodo.

«Ma cosa diavolo ti è saltato in testa? È così che io e tuo padre ti abbiamo cresciuta? Non ce lo meritiamo! Hai avuto tutto. Ma soprattutto avevi la nostra fiducia.»

Anna fa per aprire la bocca, ma non ho finito.

«Mi sono sempre fidata di te, cazzo. Ho amiche che geolocalizzano i propri figli, io mi sono sempre rifiutata. Ho parlato con te. Ti ho sempre ascoltata. Ti mancano le magliette? Credi che se le avessi chieste non te le avrei comprate?» Mi fermo.

Anna è davanti a me lo sguardo basso.

«Non hai niente da dire?»

«Non sono stata io.»

«Non raccontarmi altre balle. Ci penso da sola a prendermi in giro pensando di avere una figlia migliore delle altre.» Ma sono curiosa voglio proprio vedere come può pensare di trovare una giustificazione sensata. «Avanti sentiamo come sono finite nel tuo zaino allora.»

«Credo sia stata Marta.»

«Chi?»

«Una mia amica.»

«Una tua amica? Ah sì? E dove sarebbe questa fantomatica amica, che non ho mai sentito e che soprattutto non ho visto oggi, quando sono venuta a prendere mia figlia, colta a rubare nel negozio della mia amica.» Sto di nuovo urlando.

«È andata via.» Sussurra con un filo di voce.

«Va in camera tua e sparisci.»

Non aggiunge altro, non ribatte. Aspetto di vederla scomparire nella sua stanza. Mi lascio cadere sul divano e piango.


Chi cavolo è Marta? Non gliel’ho mai sentita nominare. Aspetta. No, non sarò una di quei genitori con il prosciutto sugli occhi. Non voglio cercare giustificazioni per quello che ha fatto. Non voglio darmi l’illusione che tutto sia un malinteso.

Voglio prove. Colpevole fino a prova contraria. Mi si accende una lampadina. Afferrò il telefono e faccio il numero di Anita.

«Carla? Tutto bene?»

«Si, scusami ancora per oggi. Volevo chiederti una cosa.»

«Dimmi.»

«Hai una telecamera in negozio?»

«Si, perché?»

«Potrei vedere cosa ha ripreso stamattina.»

«Certo, quando vuoi venire?»

«Ti disturbo adesso?»

«Figurati vieni pure ti aspetto.»

Prendo la borsa e esco. Non avviso Anna, non ho voglia di guardarla in faccia.


Entro nel negozio e Anita mi viene incontro.

«Ciao, ho già preparato i filmati.» Il suo sguardo è pieno di compassione. «Cosa pensi di vedere?»

«Mi ha raccontato un’altra balla e credo di aver bisogno di vederglielo fare, non voglio che quella parte di me, che la vede ancora come una bambina la possa giustificare.»

«Cosa ti ha detto?»

«Che è stata una sua amica a mettergli le maglie nello zaino.» Scuoto la testa.

«In effetti non era sola quando è entrata. Vieni» Anita va verso il suo ufficio.

Entriamo nel piccolo stanzino. La mia amica mi fa segno di sedere e si china sulla tastiera per inserire la password. Sullo schermo compare l’immagine in bianco e nero del negozio.

«Allora fammi mandare avanti il filmato. Erano circa le dieci.» Armeggia con i comandi.

«Eccole.»

Si sposta e resta in piedi dietro di me. Guardo come in un film le due ragazze che entrano dalla porta. Anna saluta Anita poi con l’amica fa il giro del negozio curiosando fra gli scaffali. La vedo prendere una maglietta. Ecco ci siamo. Ride con la sua amica. Com’è bella quando ride si illumina come suo padre. Resto in attesa di vedere quello che so che deve accadere. Si avvicinano ai camerini. Anna entra e lascia lo zaino all’amica. Passa qualche istante e la ragazza apre la lampo dello zaino e infila all’interno le magliette. Anna è nel camerino. Marta poi prende una borsa e la infila nel proprio zaino.

«Ecco dove era finita quella borsa.» Esclama Anita alle mie spalle. Mi posa una mano sulla schiena e quando mi volto a guardarla mi sorride.

«Non è stata Anna.»

«C’è qualcuno?» Dal negozio la voce di una cliente chiama.

«Devo andare.»

«Si vado anche io.» Afferro la borsa e la seguo. Devo tornare a casa e scusarmi con mia figlia.


Rientro. La casa è in silenzio. Non poso la borsa e non mi tolgo le scarpe vado diretta nella stanza di Anna. La trovo alla scrivania. Davanti a lei un libro di scuola, storia credo. La osservo un attimo nella sua cameretta. Su uno scaffale i suoi peluches, sull’armadio le figurine di quando si era fissata per quel cartone con le fate.

«Mamma?»

«Vieni qui.» Mi siedo sul letto e batto la mano accanto a me perché mi raggiunga.

«Scusami mamma…» La blocco.

«Scusami tu tesoro, sono appena andata da Anita e ho visto i filmati. Non sei stata tu.» La abbraccio e la tengo stretta. So di averle urlato di tutto. Ho paura di aver rotto qualcosa fra noi.

«Non fa niente. Ho capito.»

«Chi è quella ragazza?»

«Viene a scuola con me. Non la conosco da molto.»

«Dovrei parlare con i suoi genitori.»

«Mamma, No!» si ferma un attimo. «Ha una brutta situazione a casa, non so bene, ma sarebbe nei guai.»

La preoccupazione che leggo nei suoi occhi me la fa amare ancora di più. Anche se l’amica l’ha messa in un pasticcio vuole proteggerla.

«Ci penserò.» Le sorrido ancora una volta. «Vai a farti la doccia che poi mangiamo.»



Che mattinata. Finisco di sistemare la verdura. Per il pranzo c’è ancora tempo. Scendo in lavanderia a prendere i panni asciutti. Canticchio, sono felice. Dopo tutto ho cresciuto una brava ragazza. Piego la biancheria e la divido fra quella mia e di mio marito e quella di Anna. Torno di sopra e sistemo quello che ho piegato nei cassetti della mia stanza. Sento scorrere l’acqua. Anna è ancora in doccia. Entro nella sua stanza. Come al solito le lascio i panni piegati sul letto perché li riponga da sola. Lo faccio un po’ per puntiglio perché impari a badare alle sue cose.

Oggi però ho voglia di coccolarla e decido di sistemarli io. Metto i calzini e le canotte nel cassetto della biancheria. Sul letto ci sono ancora una maglia e un paio di jeans. Apro l’armadio dove abbiamo deciso assieme di riporli. Appendo i jeans e appoggio la maglia sul ripiano. Tocco qualcosa. Sposto il maglione accanto e mi trovo fra le mani un sacchetto. Guardo all’interno, ci sono dei jeans ancora con l’etichetta e l’antitaccheggio del negozio. Continuo a frugare e trovo una camicetta anche questa rubata. Resto immobile.


«Mamma?»

Sulla porta avvolta da un accappatoio con i capelli bagnati c’è una ragazza che non conosco.


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