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Gatto Randagio

Aggiornamento: 30 set 2021

Mi alzo, un altro giorno di lockdown. Mi metto la tuta e infilo la capsula nella macchinetta del caffè. Guardo il liquido scuro riempire la tazza. Con gli occhi semi chiusi mi sposto sul tavolo della cucina. Aggiungo del latte freddo dal frigo così non mi scotto la lingua, non ho pazienza e col tempo ho capito che se non voglio parlare come Gatto Silvestro per una settimana devo raffreddare il caffè caldo come lava. Un sorso. Aspetto che un po' di energia liquida entri in circolo. Gli occhi si aprono. Sbircio dalla finestra la città.

Il Corso è deserto. Innaturale. No, ormai è la normalità. Prima sembrava strano, vedere le strade desolate come in pieno agosto, ora qualsiasi elemento in movimento attira la mia attenzione e la mia curiosità. Il sole fioco rende tutto ancora più grigio. Prendo il libro che ho iniziato ieri sera. Pagina quindici. Non ho letto molto, è un libro noioso, l'autore si è perso in un lungo preambolo e non ricordo neanche più da dove era partito. Sbuffo. Ricomincio a leggere, qualcosa riemerge nella memoria scorro avanti le pagine di nuovo. Pagina quindici.

Abbasso lo sguardo verso la strada, un lampo arancione acceso ha attirato la mia attenzione un runner lento ha popolato il mio scorcio della città. Va piano, ne sono felice almeno la mia distrazione durerà un po' di più. Indossa una pettorina come quella che tengo in auto in caso di emergenza, arancione con un rinfrangente sul petto. Corre lentamente, così lentamente che mi chiedo se stia realmente correndo. Supera un mucchio di scatoloni accanto ad un cassonetto. Lento.

Un lampo bianco e nero balena per un attimo. Da una scatola un piccolo gatto randagio esce, le zampe aperte, la coda dritta, agguanta una caviglia all'uomo che sussulta scuotendo la gamba. Si ferma. Fissa la piccola creatura davanti a se. Ha messo le mani ai fianchi e dalla nuvola di vapore che esce dalla sua bocca intuisco che sta parlando al gatto. Si abbassa un po' ma non lo tocca. Nessuno tocca più niente ormai. Dopo aver ripreso fiato, riparte al suo ritmo rallentato.

Il gatto perplesso fa due passi per seguirlo, ma ha già capito dalla sua andatura che non deve essere un tipo interessante. Si ferma si guarda attorno. La strada è di nuovo deserta. Il gatto vede rotolare una carta in strada mossa dal vento e la segue fino al centro della carreggiata. No amico non è posto per te. Impassibile il gatto si accomoda sul tombino lì accanto, restando al centro della traiettoria di qualsiasi veicolo possa spuntare da un momento all'altro.

Lancio il libro sul divano, cade aperto sul tappeto una pagina piegata male. Storco il naso, non maltratto mai i libri, ma quello è davvero terribile e mi perdono. Corro in ingresso indosso il cappotto spigato che con la tuta fa molto barbona dopo un giro alla Caritas. Metto un cappello di lana verde in testa, più per non farmi riconoscere che per il freddo, prendo le chiavi ed esco. Faccio i gradini a due a due, un po' per il timore per la vita del gatto, un po' per il timore che il figo del secondo piano decida di uscire proprio in questo momento. Non ho speranze comunque, ma vorrei preservare un poco di dignità.

Raggiungo il portone. Sento passare un ambulanza. Apro il portone. La strada è deserta. Tiro un sospiro di sollievo, nessuno gatto spiaccicato sul tombino. Mi guardo attorno. Sono fuori, il brivido del proibito mi pervade. Sono fuori e non ho l'autocertificazione. Sorrido. Faccio due passi a destra, ma non vedo niente. Torno indietro e mi spingo due passi a sinistra del portone. Non vedo il gatto. Attraverso la strada. Sono temeraria e ribelle. Passo accanto al cassonetto e agli scatoloni ma niente. Chissà dove si è cacciato. Rinuncio. Comincio a essere un po' a disagio in strada, il mio spirito di ribellione è finito, mi avvio verso il portone controllando la strada prima di attraversare, faccio un passo quando qualcosa mi afferra la caviglia.

Il piccolo traditore è saltato fuori di nuovo dal mucchio di scatoloni perseverando nella sua strategia di guerriglia urbana. Mi abbasso e lo accarezzo mentre continua rosicchiarmi la ciabatta e a scalciare la mia gamba con le zampette posteriori. Mi faccio coraggio e lo prendo con due mani all'altezza del torace. Grave errore, con le zampe posteriori mi graffia e per poco non lo lascio cadere. Ingrato. Lo prendo per la collottola e rimane bloccato la bocca semiaperta e i piccoli occhietti che lanciano sguardi rabbiosi e assassini. Attraverso la strada tenendolo appoggiato al petto, una mano sotto le zampe a sorreggerlo e l'altra che lo tiene sempre bloccato per sicurezza.

Rientro nel portone di casa. Sospiro nel non sentirmi più cosi esposta. Faccio le scale piano, guardando quel batuffolo di pelo agguerrito che devo ancora trattenere mentre si divincola con tutte le sue forze. Al secondo piano la porta si apre. Ecco appunto ciao dignità. Abbasso lo sguardo nella speranza di non essere riconosciuta e sperando essere di scambiata per qualcun'altra con buona pace dell'altrui dignità.

«Ciao Rebecca».

«Ciao Stefano». Mi volto. Mi viene da ridere è in tuta con un cappotto nero e un cappello in lana calcato in testa. Sembra il look del momento. Ovviamente lui sta benissimo anche con il sacchetto di immondizie in mano. Un punto per me io almeno come accessorio ho un gatto.

«Cos'hai lì?» si avvicina. Dannazione al gatto non sono truccata, non mi sono neanche lavata i denti per la verità

Gli mostro il mio bottino. Lui allunga una mano per toccarlo. La bestia pestifera soffia come un cobra.

«Che caratterino!»

«Si. L'ho visto in strada e ho avuto paura che venisse investito, ma non so se è stata una bella idea portarlo a casa. Mi sembra un po' contrariato».

«È piccolo e spaventato dagli tempo e non lo pressare e vedrai che piano piano si ambienterà» lo sta accarezzando piano sulla testa e la bestia traditrice sta facendo le fusa.

«Meglio se lo porto su prima che mi scappi».

«Allora ciao Rebecca»

«Ciao».

Stefano si infila la mascherina e scende con il suo sacchetto azzurro di spazzatura. Dopo averlo visto sparire nella rampa delle scale riprendo a salire. Arrivo alla mia porta e con una mano cerco le chiavi in tasca. Il gatto si è un po' rilassato e fa ancora le fusa dopo le carezze di Stefano e anche io. Entriamo. Mi guardo attorno, prima di lasciare la piccola bestiola chiudo la porta che dà sulla camera, in modo da poterlo contenere nella zona che fa da cucina e salotto. Lo metto a terra e correndo va ad infilarsi sotto al divano. Non ho speranze di tirarlo fuori. Mi stendo sul tappeto e lo osservo, si è rannicchiato accanto ad una delle zampe del divano dove si sente più protetto.

Vado in cucina e prendo un piattino ci verso del latte e lo metto lì vicino. Il piccolo non si muove. Ritento aggiungendo una scatoletta di tonno su un altro piattino. Questa attira la sua attenzione, ma non abbastanza da farlo uscire. Mi sposto su una sedia della zona cucina per lasciargli un po' di privacy. Niente. Decido di andare a fare una doccia lo devo alla mia dignità. Dopo mezzora torno in salotto in forma umana degna di questo nome. Il tonno si è dimezzato e una macchia adorna il tappeto. Piccolo mostro mi ha pisciato sul tappeto. Sbircio sotto il divano e lui è lì di nuovo nel suo angolo. Dorme. È troppo carino anche se mi ha pisciato sul tappeto. Torno in bagno e prendo del Lysoform e del sapone per lavatrice per sistemare il disastro.

Mi trovo con il sedere per aria a strofinare il tappeto quando suona il campanello.

«Chi è?».

«Sono Stefano».

Apro la porta un po' sorpresa. Anche lui ha fatto una doccia e ora è bello come prima, ma rasato e presentabile, penserei sia passato solo per restaurare la sua immagine di figo del palazzo, ma tra le braccia ha una cassetta per gatti e un sacco di sabbia.

«Ciao, vuoi entrare?» tentenno nel chiederlo in questa situazione invitare le persone senza esibire un tampone negativo è come fare sesso non protetto.

«Si grazie ho un regalo per il tuo amico.» Lo faccio entrare e mentre osserva il Lysoform sul tavolino del salotto dice «troppo tardi?»

«Diciamo che la piccola peste ha inaugurato il tappeto».

«Avevo avuto l'impressione che il tuo fosse stato un gesto d'impulso e che non fossi attrezzata, questi li avevo in garage erano del vecchio gatto di mia madre ma andranno benissimo». Con gesti rapidi prepara la lettiera e la mette vicino al divano. «Ti conviene lasciarla qui finché non sei sicura che abbia capito a cosa serve, poi un po' alla volta la sposti dove preferisci. Ma dov'è?»

«Sotto al divano» alzo gli occhi al cielo.

Beh non so in cosa mi sono imbarcata. Ma stamattina ero sola con un libro noioso, adesso sono stesa supina sul tappeto con accanto un figo pazzesco e guardiamo un piccolo gatto che dorme sotto al mio divano. Rebecca uno – Universo zero.


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